Armi, investimenti e soft power. La Turchia alla conquista dell’Africa
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di Marco Santopadre - Pagine Esteri
La strategia di penetrazione turca in Africa, pervicacemente perseguita da Erdoğan, è in realtà stata ereditata dai precedenti governi, in particolare da quello guidato dal repubblicano Bülent Ecevit. Il 'no' dell'Unione Europea alla richiesta di adesione di Ankara, non solo ha contribuito a rinfocolare il mai sopito nazionalismo turco, ma ha spinto una parte della classe dirigente e dell'intellighenzia a ricercare la proiezione internazionale del paese nei territori appartenuti in passato all'Impero Ottomano ed in altre aree del pianeta. Non a caso nel 1998 il governo ha approvato un documento strategico, intitolato "Opening up to Africa policy", che prevedeva un aumento dell'attività diplomatica, l'offerta ai paesi africani di assistenza tecnica e umanitaria e un'offensiva di natura economica e commerciale. Gli esecutivi dell'epoca non furono in grado di applicare il progetto i cui obiettivi vennero però subito recuperati e rilanciati dal leader del Partito Giustizia e Sviluppo (Akp).
La scalata turca all'Africa
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Da quel momento quella turca nel continente africano è stata una vera e propria escalation. La svolta nei rapporti è avvenuta nel 2005, definito da Ankara "anno dell'Africa", con i primi viaggi dell'allora primo ministro Erdoğan in Etiopia e Sudafrica.
La presenza militare turca nei due paesi ovviamente ha aperto la strada ad una posizione privilegiata nello sfruttamento delle risorse energetiche e nella gestione di importanti infrastrutture: aziende turche, ad esempio, gestiscono il porto e l'aeroporto di Mogadiscio. Concentrando per alcuni anni i propri sforzi nel Corno d'Africa - ed entrando in competizione con Emirati Arabi, Arabia Saudita ed Egitto, oltre che con la Cina - la Turchia è diventata il secondo partner commerciale dell'Etiopia. Qui l'azienda turca Yapi Merkezi si è aggiudicata un appalto da 2 miliardi di dollari per la realizzazione di una ferrovia lunga 4000 km che collega il Nord al Centro del paese per poi arrivare a Gibuti. La Yapi Merkezi ha vinto anche l'appalto per la realizzazione di un'altra ferrovia, che collega la capitale della Tanzania, Dar Es Salaam, sull'Oceano Indiano, con l'interno del paese. Entrambe le grandi opere, come molte altre in Africa, sono state finanziate dalla Türk Eximbank, la banca statale pubblica di Ankara che finanzia le opere pubbliche all'estero agevolando ovviamente le imprese turche nell'aggiudicazione degli appalti.
Contemporaneamente Ankara ha diretto le proprie attenzione verso l'Africa Settentrionale e il Sahel - recentemente ha confermato la presenza di sue truppe in Mali e nella Repubblica Centrafricana nell'ambito di missioni ONU - sfruttando l'indebolimento della presa di Parigi sulla "Françafrique".
Il tour in Africa occidentale
La "fratellanza". Il soft power turco in Africa
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L'obiettivo della Turchia è «vincere insieme, crescere insieme, camminare insieme», ha scritto il leader turco su Twitter dopo il tour in Africa occidentale, attaccando le potenze europee e i loro tentativi di «preservare i vecchi metodi coloniali». Durante la sua visita al parlamento angolano, Erdoğan ha affermato che «il destino dell'umanità non può e non deve essere lasciato alla mercé di una manciata di paesi vincitori della seconda guerra mondiale», spingendosi a descrivere la Turchia come uno "stato afro-euroasiatico" erede dei fortissimi legami storici tra l'Impero Ottomano e i regni africani. «Le nostre relazioni con i Paesi africani non sono basate sul colonialismo e vogliamo avere successo insieme ai nostri fratelli e sorelle di tutto il continente» ha continuato il leader turco, insistendo su una retorica che da tempo caratterizza il messaggio rivolto da Ankara ai paesi africani e che dipinge la Turchia come una benefattrice.
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L'appeal delle armi turche
Finora la strategia turca ha fatto breccia approfittando degli spazi lasciati liberi dalle ex potenze coloniali e dalle opportunità offerte dalla sempre più aspra competizione tra vecchi e nuovi protagonisti della lotta per l'egemonia. La Cina, il principale attore straniero nel continente, ha spesso lasciato fare, come d'altronde la Russia, interessate a utilizzare la penetrazione turca - sempre più in conflitto con gli interessi di Francia e Stati Uniti nel quadrante africano così come in quelli mediterraneo e mediorientale - per indebolire le potenze coloniali e postcoloniali anche a costo di perdere qualche opportunità. Ma il graduale rafforzamento di Ankara potrebbe cominciare a preoccupare alcune cancellerie, che potrebbero far scattare le opportune contromisure. A Parigi molti ambienti politici, economici e militari contano i giorni che mancano alle prossime presidenziali, impazienti di assistere all'uscita di scena di Emmanuel Macron, giudicato incapace anche solo di mantenere le posizioni tradizionalmente occupate dalla Francia nell'ex cortile di casa.