Don Tonino e il disarmo

30.11.2020

SCRITTO DA MONS. LUIGI BETTAZZI

La radice del pensiero e dell'azione di mons. Tonino Bello - don Tonino, come amava essere chiamato - sta nelle sua attenzione e dedizione ai poveri, derivategli dall'educazione della madre, convinta terziaria francescana. Negli ultimi tempi don Tonino amava ripetere: "Ama la gente, soprattutto i poveri e Gesù, tutto il resto non conta".

E questo ha orientato tutta la sua vita, fin dai primi tempi, includendo tra i poveri anche i giovani, da orientare e appoggiare nella vita. Ne danno testimonianza anche aspetti che sembrano marginali, come imparare a suonare la fisarmonica, per potere stare con loro, guidarli agli sport di squadra, per educarli così allo spirito comunitario (e la squadra di pallavolo di Ugento diventò perfino una delle più qualificate in Italia).
Fu così che lo conobbi, quando, nel gennaio 1981, invitato da don Lichetta a Tricase per parlare ai giovani del suo Liceo, vi trovai a pranzo dalle suore dell'asilo (che fra l'altro erano le suore dell'Immacolata Concezione di Ivrea!) anche il parroco, che era proprio don Tonino Bello. Rievocammo gli anni passati a Bologna (il suo vescovo l'aveva inviato a studiare teologia, non l'avevo avuto alunno perché insegnavo filosofia), ricordando l'arcivescovo del tempo, che era il card. Giacomo Lercaro, uno dei quattro Moderatori del Concilio Vaticano II allora in corso, e i sacerdoti dell'ONARMO (Opera Nazionale Assistenza Religiosa Morale Operai), che l'aveva ospitato.
E fu così che quando l'anno seguente venne designato vescovo di Molfetta, io che, dal 1968 presidente nazionale del movimento internazionale della pace Pax Christi, di cui nel 1978 ero divenuto anche presidente internazionale e cercavo chi mi sostituisse sul piano nazionale (e non lo trovavo, per i motivi più vari), col consenso dell'arcivescovo metropolita di Bari ("Ma fate presto, perché tanti lo vogliono"), lo proponemmo come primo della terna richiesta dalla CEI per la nomina, in quanto vescovo, e fu nominato (nel 1985!) presidente di Pax Christi Italia.
Penso che per don Tonino sia stato determinante l'inserimento in un movimento che aveva un respiro internazionale ed era nato in Francia dopo la seconda Guerra Mondiale per ricucire le ferite della guerra, in particolare per la riconciliazione tra francesi e tedeschi, e poiché inizialmente mirava alla spiritualità ecclesiale, richiedeva come presidenti dei vescovi. Poi dopo la presidenza del card. Feltin, arcivescovo di Parigi, era diventato presidente internazionale l'olandese card. Alfrink, e il movimento, sollecitato dall'enciclica di papa Giovanni "Pacem in terris" e dal Concilio, si era aperto alla contestazione concreta delle guerre denunciandone le cause, fra cui la produzione e il commercio delle armi. Su questi temi, si svolse la route internazionale Vercelli-Oropa del1964.
Don Tonino si rende conto che la preghiera è sincera se è accompagnata da un impegno concreto e intelligente contro le guerre e le loro radici. In realtà, se ripercorriamo i suoi "Scritti di pace", li troveremo tutti datati dal 1985 in poi (cioè da quando era entrato in Pax Christi!). E così dai primi scritti (un saluto ai partecipanti di una route internazionale, poi una conversazione natalizia con i responsabili politici ed economici della sua città), ancora permeati da esortazioni generiche (o il suo gioco di parole: "Le giornate della pace per la pace delle giornate"), si passerà via via alla lettera al fratello che lavora in una fabbrica di armi ("ti incoraggio a batterti perché si attui al più presto, e in termini perentori, la conversione dell'industria bellica in impianti civili, produttori di beni, atti a migliorare la qualità della vita") e alla lettera sferzante al giornalista Indro Montanelli, che aveva irriso chi (ed ero io!) aveva fatto obiezione di coscienza alle spese militari.
Lo spirito profetico, pieno di fantasia (e di cultura!) di don Tonino, amava ricorrere a configurazioni di vita per presentare le sue idee; se mi è lecito, come Gesù che parlava per parabole. E questo si manifestava non solo nel richiamo ripetuto al sogno di Isaia (le spade trasformate in vomeri e le lance in falci) o a dissipare l'ombra di Caino, ma nelle tante lettere che rivolgeva - con l'abbondanza della sua cultura e la freschezza della sua comunicazione - ai grandi personaggi biblici, convinto com'era che la Bibbia, nel raccontare le storie del passato, si rivolge ad ogni essere umano, di ogni tempo e di ogni luogo, per illuminarne e orientarne la vita. Ed è così che i grandi temi della violenza e della nonviolenza, dell'accoglienza e del rifiuto, nei confronti di Dio e nei confronti degli altri esseri umani, riemergono nelle tante lettere (ma è un godimento leggerle per intero!) che don Tonino indirizzava, con ragionamenti specifici per ciascuno, ad Abramo o a Sara, a Giacobbe o a Esaù o a Giuseppe d'Egitto, ma poi a Mosè, ad Aronne o a Giosuè, a Samuele e ai due che egli consacrerà re, Saul e Davide, e a Salomone, ma anche a Ruth, a Rizpa', alla figlia di Jefte, come poi, dai Vangeli, alla Samaritana.
Questo discorso si manifesta più che mai concreto quando protesta espressamente contro la militarizzazione della Puglia, portando anche i vescovi locali a contestare che si trasformi la Regione da promontorio di pace ad avamposto di guerra, denunciando i rimandi di una legge sul commercio delle armi, ma anche scendendo a condannare l'uso di bombe al fosforo o le armi già vendute in abbondanza a Saddam Hussein che ora si vuole combattere. È stato proprio questa prima Guerra del Golfo che ha sollecitato interventi scritti e orali di don Tonino, provocando reazioni del mondo politico (ma anche quelle prudenziali del mondo ecclesiastico), che poi gli hanno provocato prima l'ulcera poi il tumore allo stomaco. L'ultimo appello al disarmo e alla nonviolenza è stato a Sarajevo in quella Marcia ("folle", come fu definita) dei 500, intenta a rompere il cerchio che chiudeva la città il 10 dicembre 1992, anniversario della firma della Carta dei diritti umani dell'ONU. Bloccati a Kiseliak, alle porte di Sarajevo, riuscimmo ad entrarvi il giorno dopo (contro i suggerimenti dell'ONU), portando il saluto - diviso in quattro gruppi - alla Cattedrale cattolica, alla Chiesa ortodossa, alla Moschea, alla Sinagoga, ritrovandoci poi tutti in un cinema, dove, alla luce delle fiaccole (non c'era luce elettrica), don Tonino disse tre cose:
* Eravamo lì per dire che nel mondo qualcuno pensava alla gente di Sarajevo (e difatti in seguito altri gruppi vi andarono);

* Che volevamo sollecitare l'Italia e l'Europa a far qualcosa per far finire quell'assedio;

* Per ribadire che l'unica strada per la giustizia e la pace è quella della nonviolenza attiva.

Di ritorno, scrisse per Avvenire che la madre spietata delle guerre è la miseria, ma animò la Marcia della pace che, nella notte di Capodanno, scosse (sotto la pioggia!) la città di Molfetta. A un mese dalla morte si rivolgeva ai partecipanti al corso "Nonviolenza come educazione ai rapporti", mettendo in guardia dalla violenza delle armi e dalla violenza del linguaggio. Ma sul letto di morte ancora firmava un appello - preparato con gli amici di Pax Christi presenti - a tutti i responsabili della guerra nella Ex Jugoslavia: "Mettetevi dalla parte della gente, non degli alcuni che speculano sulla guerra, sul commercio delle armi, sul mercato nero, ma della grande massa che soffre, che muore... A tutti diciamo deponete le armi, sottraetevi all'oppressione dei mercanti della guerra, afferrate strumenti di pace... E voi, responsabili dei Paesi più ricchi e potenti del mondo, dagli Stati Uniti d'America ai Paesi dell'Europa, non sottraetevi alla responsabilità di influire in modo determinante, non con le armi che consolidano la vostra potenza e le vostre economie, ma con efficaci mezzi di pressione e di dissuasione, per fermare questa carneficina, che disonora insieme chi la compie e chi la tollera".
Questo è il messaggio, maturato nella vita e nella sofferenza (lo considero "vittima" della Guerra del Golfo), che ha trasmesso a Pax Christi, e, in qualche modo alla Chiesa e al mondo. E ha così preparato la Chiesa e il mondo ad accogliere i messaggi di papa Francesco (che sente tanto vicino don Tonino da andare ad Alessano e a Molfetta nel giorno del venticinquesimo anniversario della sua morte), il quale parte, sì, dalla preghiera (ha invitato tutta la Chiesa a pregare e digiunare per la pace in Siria e in Congo), ma condanna la guerra, anche quella che chiama "la terza guerra mondiale in frammenti", sollecitando al disarmo, cioè ad una cosciente limitazione della produzione di armi, perché è proprio l'aumento delle armi che spinge alle guerre, per poterle utilizzare e per continuare a perfezionarle. Di recente (novembre 2017), rivolgendosi ai partecipanti al Convegno "Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale", dopo aver lamentato che "la spirale della corsa agli armamenti non conosce sosta e che i costi di ammodernamento e sviluppo delle armi, non solo nucleari, rappresentano una considerevole voce di spesa per le nazioni, al punto di dover mettere in secondo piano le priorità reali dell'umanità sofferente: la lotta contro la povertà, la promozione della pace, la realizzazione di progetti educativi, ecologici e sanitari e lo sviluppo dei diritti umani" metteva in guardia da "le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualunque utilizzo degli ordigni nucleari" rilevando che essi danno "un'ingannevole senso di sicurezza" e che "sono perfino illogici sul piano militare", richiamando infine che "attraverso una storica votazione in sede ONU, la maggior parte dei Membri della Comunità Internazionale ha stabilito che le armi nucleari non sono solamente immorali ma devono anche considerarsi un illegittimo strumento di guerra".
Se il pensiero e la vita di don Tonino possono aver preparato gli animi ad accogliere i messaggi di papa Francesco, la giornata del Papa ad Alessano e Molfetta ci solleciti a ritrovare la saggezza e l'affetto di don Tonino perché riempiano sempre più la nostra mente e i nostri impegni.

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