Riprendono i "Diari di fine guerra" - Puntata 1 del 2024

19.02.2024

Puntata 1/2024 dei "Diari di fine guerra Ucraina/Medio Oriente –

si vada al link:

Considerazioni sul possibile ed auspicato scenario di cessazione dei combattimenti nell'Est Europa e avvio dei negoziati a partire dallo "stallo" (sconfitta?) della controffensiva lanciata dall'esercito di Kiev. Ma la "guerra mondiale a pezzetti", con il 7 ottobre 2023 di Hamas e la risposta israeliana su Gaza, e con gli attacchi Houthi nel Mar Rosso, accende un incendio in Medio Oriente che può determinare un ulteriore motore di generalizzazione verso un conflitto globale. La "tendenza alla guerra", come conflitti, riarmo e militarizzazione, si rafforza, anche se il movimento disarmista coerente non deve cedere al fatalismo che dà per scontata la deriva verso la terza guerra mondiale. Riprendiamo il lavoro iniziato nel 2023. (Nota bene. La prima puntata del 2024 sarebbe la sedicesima, se calcolata nel lavoro complessivo).

dal febbraio 2024 - sulla base della rassegna stampa dei principali quotidiani e delle riviste di geopolitica

a cura di Alfonso Navarra - coordinatore dei Disarmisti esigenti

La Prima Puntata del 2024 è suddivisa in tre parti:

Parte I - ANALISI DI ALFONSO NAVARRA: DOVE ERAVAMO RIMASTI?

Parte II -ESTRATTI DA LIMES - EDITORIALE DI LUCIO CARACCIOLO

Parte III - ITALIA SENZA MARE - Longform da La REPUBBLICA 18-02-2024

di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), di Lucio Caracciolo. Mappe di Laura Canali. Coordinamento multimediale Laura Pertici."

DOVE ERAVAMO RIMASTI?

Di Alfonso Navarra – Disarmisti esigenti

Il 2024, l'anno delle grandi elezioni in tutto il mondo, è iniziato con il voto che a Taiwan ha fatto eleggere presidente il candidato inviso a Pechino, nonostante le pressioni minacciose del Partito Comunista Cinese.

In Ucraina, la "contro-offensiva" dell'esercito di Kiev sembra tutt'altro che riuscita, e comincia ad affiorare il dubbio che il supporto militare americano ed occidentale possano addirittura venire meno.

La fede nella vittoria finale di Zelensky comincia a vacillare (si prospettano persino scenari di collasso militare dell'Ucraina) ed in ogni caso è chiaro ormai a tutti che essa sarà comunque ottenuta ad un prezzo inaccettabile.

Quel che resterà dell'Ucraina e degli ucraini, vittoriosi militarmente o meno, probabilmente – come si è accennato -addirittura sconfitti, dovrà affrontare un enorme progetto di ricostruzione su un mare di macerie. Un dispaccio dell'AGI del 16 febbraio 2024 riferisce di un rapporto della Banca Mondiale, ripresa come pubblicazione dal governo ucraino, dalla Commissione UE e dall'ONU: stante i danni subiti, la ricostruzione dell'Ucraina verrebbe a costare 500 miliardi di dollari in dieci anni. (Ma siamo a conoscenza di altre stime più pessimistiche, sui 1.000 miliardi di danni, al momento).

Chi dovrebbe pagare la ricostruzione? Il rapporto suggerisce la confisca dei beni russi congelati in Occidente. (La notizia al link: ‎https://www.agi.it/estero/news/2024-02-16/quanto-costa-ricostruire-ucraina-25312769/)

Nelle stesse ore in cui l'oppositore di Putin si spegneva nella prigione siberiana, la bandiera russa ha sventolato sulla città ucraina di Avddijvka.

Proprio quando in Occidente cominciavano a manifestarsi i sintomi di quella "stanchezza" confessata da Giorgia Meloni ai comici russi che la burlavano nella qualità di "ambasciatori del Katonga" (secondo la brillante citazione totoista di Marco Travaglio), Hamas (finanziato da Qatar e Iran, quest'ultimo in ottimi rapporti con il Cremlino) ha creato una utile distrazione dal fronte europeo con l'incursione del 7 ottobre e la guerra scatenata a Gaza; e Trump ha dichiarato che, quando sarà presidente, la Russia potrà fare quello che vuole ai Paesi europei della NATO, se risultano morosi rispetto allo standard del 2% del PIL, quindi non versano la loro quota per "difendersi".

La morte di Navalny rinfocola l'inimicizia contro il regime russo

La morte dell'oppositore Navalny nella prigione in Siberia dove era stato rinchiuso (16 febbraio 2034) desta indignazione in tutto il mondo e mette Putin sotto accusa. Parlare di compromessi con la Russia diventa, al momento, più difficile. L'occasione può essere colta dai governi occidentali, che spingono Zelensky a "fare l'eroe", per superare la "stanchezza" che li affligge per un conflitto sull'Ucraina ormai alla vigilia del secondo anniversario (l'invasione russa è del 22 febbraio 2022). (…)

Lo scenario di "fine guerra" in Ucraina sembra allontanarsi. Ma il tempo che passa espone ad una crisi di coerenza nel sostegno a Kiev, negli USA evidentissima, dovendo fare i conti con le elezioni presidenziali di novembre: l'opinione pubblica a stelle e strisce ha tutt'altro per la testa, i problemi economici, l'immigrazione, e Donald Trump sta volando nei consensi.

Con gli aiuti statunitensi bloccati il sostegno militare all'Ucraina rallenta

Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha ammonito che l'impasse del Congresso USA sulla nuova assistenza all'Ucraina "ha già avuto conseguenze sul campo di battaglia". (…)

L'Unione europea ha dovuto superare il blocco ungherese per varare gli aiuti finanziari e militari, garantendo un flusso di 50 nuovi miliardi di euro. L'istituto tedesco di Kiel, che attraverso l'Ukraine Support Tracker monitora il flusso di aiuti verso l'Ucraina dall'inizio del conflitto, fa un calcolo che, per sostituire completamente gli aiuti militari statunitensi nel 2024, l'Europa dovrebbe raddoppiare il livello e il ritmo di quelli attuali, una missione praticamente impossibile. Il divario tra gli impegni presi complessivamente tra Bruxelles (144 miliardi di euro) e i fondi stanziati arrivati a Kiev (77 miliardi di euro) rimarrebbe comunque molto ampio. (…)

Lo scenario di un collasso militare dell'Ucraina

La "fine guerra" da noi auspicata potrebbe essere anche un portato del crollo militare ucraino, che obbligherebbe il governo di Kiev (non più guidato da Zelensky, ma da un sostituto: ad esempio il popolare generale Zaluzhny, da poco dimissionato dal comando dell'esercito) a discutere rapidamente la famosa "soluzione coreana". Questo "cessate il fuoco" con la cessione di fatto delle aree conquistate è quello che il Cremlino tenta da 24 mesi e che ora appare possibile rendendo possibile il "cantare vittoria" da parte di Putin.

L'esperienza storica insegna che la prima sorgente del collasso che porta alla sconfitta spesso nasce dalle divisioni politiche nelle istituzioni, come accadde alla Germania alla fine della Prima Guerra Mondiale – e oggi il consenso di Zelensky sta cominciando a precipitare. (…)

La stanchezza della guerra sposta l'interesse verso i problemi interni

Mentre il Cremlino, duro, fermo, inaugura la sua economia di guerra, con un piano di produzione bellica mai visto prima e investimenti carichi di zeri, l'Occidente prova a seguire una tendenza analoga, ma deve fare i conti con la "stanchezza" delle opinioni pubbliche, che fa pendere la bilancia verso altri interessi che non la battaglia di principio sul "diritto internazionale" violato.

L'interesse nazionale più in senso stretto diventa l'automatismo con cui i governi procedono, quando i soldi cominciano a mancare e non si conosce la fine della crisi, che in questo caso è una guerra di puro logoramento, alla vecchia maniera. (…)

L'incendio acceso da Gaza prelude a un nuovo equilibrio medio-orientale?

In Medio Oriente si è, malauguratamente, acceso un incendio bellico ed il suo spegnimento è molto complicato. Ma non è irrealistica la possibilità che dalla tragedia nasca una sorta di nuovo equilibrio.

Gli USA stanno lavorando per imporre quanto prima ad Israele una tregua umanitaria a Gaza come passo per un obiettivo più di fondo. Nel corso della pausa, Israele, sotto la protezione di Washington benedetta dall'ONU, forzando o scaricando Netanyahu, potrebbe congelare gli insediamenti in Cisgiordania e stipulare finalmente l'accordo sui due Stati, in cambio del riconoscimento diplomatico da parte dell'Arabia Saudita. Hamas a quel punto sarebbe azzerata politicamente (nella migliore delle ipotesi la fazione qatarina dovrebbe liberarsi di quella iraniana confluendo in una unità nazionale palestinese) e svuotata militarmente.

Lo sconfitto effettivo in Medio Oriente sarebbe allora l'Iran degli ayatollah, specie se si riattivasse e prevalesse la rivolta, trasformata in strategia rivoluzionaria, "DONNA – VITA – LIBERTA'. (…)

Un fattore che potrebbe giocare un ruolo di arresto delle derive belliche e di stabilizzatore di equilibri più avanzati potrebbe essere un movimento disarmista e pacifista più intelligente nei suoi comportamenti e non rassegnato alla vittoria del peggio, magari sotto lo scudo di vecchi slogan massimalistici o la distorsione di logiche campiste. (...)

L'Italia reitera con Meloni per la seconda volta il decreto Draghi sugli aiuti militari all'Ucraina

L'8 febbraio 2024 l'Aula della Camera ha definitivamente convertito in legge, con voti 218 favorevoli e 42 contrari (Avs e M5S), il DL 200/2023 che proroga per tutto il 2024 "l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore dell'Ucraina". (…)

L'ultimo pacchetto (l'ottavo) di invio di materiali ed equipaggiamenti militari all'Ucraina è stato pubblicato sulla G.U. del 29 dicembre 2023 (D.M. 19 dicembre 2023). Invio arrivato sette mesi dopo il cd. "Settimo pacchetto" di aiuti militari pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 31 maggio 2023. Alcune indicazioni relative al settimo pacchetto sono state fornite dall'esecutivo a fine maggio. In quell'occasione l'elenco degli armamenti è stato illustrato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel corso di un'audizione al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Come nei pacchetti precedenti, anche in quella circostanza il contenuto del nuovo decreto Ucraina è stato "secretato" e successivamente pubblicato in Gazzetta ufficiale. Quello di fine maggio è stato il secondo provvedimento firmato dal governo Meloni: il primo risaliva a 4 mesi prima. (…)

Al solito, a protestare in piazza si sono ritrovati i soli Disarmisti esigenti & partners (WILPF Italia, Per la scuola della Repubblica): "per segnalare all'opinione pubblica la distanza tra il Palazzo e il sentimento maggioritario di contrarietà del popolo italiano al riarmo del nostro Paese e al coinvolgimento nella guerra in Ucraina".

Nel presidio, e con una lettera ai deputati, abbiamo denunciato una violazione della Costituzione commessa con il decreto contestato. Il Parlamento, con questo decreto, viene scavalcato attraverso due modalità: 1) i pacchetti di armi spedite attraverso semplici atti amministrativi, i dpcm; 2) la segretezza dei materiali spediti, portati a conoscenza solo del COPASIR.

Abbiamo indirizzato una lettera ai deputati proponendo loro di bocciare in aula il decreto 200/2023.

"Attraverso questa decisione può avere slancio e possibilità la soluzione politica e non militare della guerra: si potrebbero avviare processi e percorsi di costruzione di condizioni di sicurezza e democrazia per l'Europa intera.

E segnaliamo anche ai deputati che, in caso il decreto passasse, ci sarebbero possibilità di sollevare l'eccezione di incostituzionalità per violazione dei poteri del Parlamento, sia direttamente contro la norma, sia appoggiando un ricorso al TAR del Lazio che la Lega obiettori di coscienza, soggetto associativo statutariamente interessato alla pace, sta predisponendo contro il prossimo dpcm da esso abilitato.

Le istituzioni italiane ed europee possono scegliere la via del disarmo e della pace ed è questo che vi chiediamo, con preoccupazione e determinazione, di fare: oggi, innanzitutto; e con eventuali scelte concrete che possano ribaltare gli errori di oggi".

LIMES N. 1/2024 - STIAMO PERDENDO LA GUERRA

Medio Oriente e Ucraina in fiamme

Nella Guerra Grande che si allarga l'Italia non conta ma paga il conto

Editoriale di Lucio Caracciolo: Cronache dal Lago Vittoria (estratto)

(...) Quest'anno capiremo se il conflitto ucraino verrà sedato o deraglierà. Difficile possa procedere linearmente a lungo. La guerra d'attrito che Russia e Occidente hanno parallelamente imposto all'Ucraina per opposti ma convergenti motivi sta esaurendo le risorse umane e materiali del paese aggredito. Mentre è aperta la caccia ai suoi residui tesori.

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HTTPS://WWW.REPUBBLICA.IT/ESTERI/2024/02/18/NEWS/HOUTHI_MAR_ROSSO_USA_IRAN_CONSEGUENZE_ITALIA-422140940/?REF=RHLM-BG-P5-S1-F

DA LA REPUBBLICA – 18 FEBBRAIO 2024

LONGFORM ITALIA SENZA MARE

La Penisola prospera se il Mediterraneo è libero e aperto. In questo tempo di Guerra rischia di soffocare

di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), di Lucio Caracciolo. Mappe di Laura Canali. Coordinamento multimediale Laura Pertici. Produzione Gedi Visual

(…) L'incrocio fra guerra in Ucraina, che verte anche sul controllo del Mar Nero, e conflitto Israele-Hamas esteso a gran parte dell'Oriente vicino, con riflessi immediati su Medioceano orientale e Mar Rosso, rivela l'urgenza di una strategia marittima nazionale. Non retorica: pensiero applicato. La posta in gioco è vitale. (…)

La gabbia mediterranea

Il nostro esistenziale collegamento all'Oceano Mondo implica sicurezza nei mari di casa – Adriatico, Ionio, Tirreno – e libertà di navigazione attraverso i colli di bottiglia. Gibilterra pare fuori pericolo, anche se da Teheran si levano stravaganti minacce alle Colonne d'Ercole. La crisi si concentra quindi sullo Stretto di Sicilia e sulla combinazione Suez-Bab al-Mandab, passatoi del Mar Rosso. Quanto ai Dardanelli, che separano il Nero dal resto del Mediterraneo, sono meno rilevanti per noi, a meno che la guerra russo-ucraina non vi degeneri. Resta il fatto che il Mediterraneo orientale a ridosso di Israele, il Mar Nero e il Mar Rosso sono inibiti al nostro traffico mercantile, a meno di correre rischi che pochi sono disposti ad accettare. (…)

Bassa marea geopolitica

Qualsiasi strategia marittima impone di guardare la terra dal mare, non viceversa come noi tendiamo a fare, fermandoci al primo orizzonte. (…)

Mentre nei bar nostrani si scommette sulla vittoria di Biden o Trump (o chi per loro) alle elezioni di novembre, sfugge che il trionfo dell'uno o dell'altro inciderà solo su stile, misura e velocità di una riconversione strategica ormai palese. "Retrenchment" è il suo nome negli apparati a stelle e strisce, traducibile come "ridimensionamento". Non "isolazionismo", inteso rinuncia al primato mondiale per curare il giardino di casa – assurdità che produrrebbe la perdita di entrambi. Nella versione più raffinata, dovuta alla penna di Stephen Wertheim (Foreign Affairs del 14 febbraio), significa "disincagliare gli Stati Uniti dal Medio Oriente, affidare gran parte della difesa europea agli alleati europei e lavorare per stabilire una coesistenza competitiva con la Cina". Tradotto: meno impegno americano nel nostro spazio euromediterraneo, quindi più responsabilità italiana, da condividere anzitutto con i partner euroccidentali (Euroquad Italia-Francia-Spagna-Germania). Per quanto possibile anche con la Turchia della Patria Blu. E approfondendo con Washington, su base anche bilaterale, lo scambio fra quel che resta dell'ombrello nucleare con il nostro impegno in aree per noi rilevanti evacuate dagli americani per evitare che finiscano in mani avverse.

Giusto un anno fa, un'eccezionale bassa marea di origine sigiziale colpì le coste dello Stivale. L'acqua si ritirò dai porti di Napoli e Bari, i canali di Venezia finirono in secca naturale. Ci sono voluti due millenni perché il mare di Roma da Mediterraneo diventasse Medioceano. Tronco basilare dell'Italia. Non ci perdoneremmo se la bassa marea mossa dalla nostra incoscienza ci scoprisse presto in secca strategica.

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