Ucraina, il pericolo è la NATO

10.12.2021

Fonte altrenotizie Scritto da Fabrizio Casari

Non pare abbiano sortito effetti i colloqui telefonici tra Joe Biden e Vladimir Putin. Quella che si sviluppata al confine tra Russia e Ucraina è una crisi costruita politicamente e mediaticamente. Alla complessiva quanto conclamata ostilità tra Kiev e Mosca non si era aggiunta nessuna particolare tensione e la stessa intelligence militare del regime filo-nazista di Kiev non segnalava nessun pericolo da parte russa.

Quello che Putin ha provato a spiegare a Biden sono tre concetti fondamentali: Mosca non ha mai pensato di invadere l'Ucraina, a meno che quest'ultima non diventi la sede operativa di una minaccia militare NATO verso la Russia. A questo proposito ha aggiunto che le dichiarazioni dell'Occidente sulla sua disponibilità ad aiutare Kiev a contenere la "minaccia russa" sono ridicole e pericolose. Putin ha ricordato che il dispiegamento di truppe russe sul territorio nazionale è un diritto sovrano e non è affare di nessuno. Sono invece la NATO e i suoi stati membri che stanno incautamente spostando le loro forze militari e infrastrutture ai confini della Russia.

L'incremento di aggressività statunitense in Europa non fermerà i piani di sviluppo economici e militari russi. Il Cremlino considera le sanzioni un gesto di immotivata ostilità politica e un modo sporco di condurre una guerra commerciale in spregio al tanto decantato libero mercato.

Per quanto riguarda la sicurezza internazionale Mosca è pronta a tornare al tavolo negoziale per discutere un nuovo trattato sui missili balistici a medio e lungo raggio nel quadro di un equilibrio internazionale che rispetti le reciproche esigenze di difesa. Mosca ritiene la governance mondiale una questione multilaterale e non certo unipolare.

Se la telefonata non ha sortito effetti concreti nella necessaria riduzione dell'escalation, rimane una certezza: non c'è mai stata l'intenzione della Russia di invadere l'Ucraina. E' una colossale fake news concepita al Pentagono e a Langley e fatta veicolare da due organi si stampa amici come The New York Times e il sito Politico.com, ai quali si sono aggiunti i media europei compiacenti con la politica estera degli Stati Uniti.

La crisi, che ha rischiato e tutt'ora rischia di innescare un conflitto dagli esiti imprevedibili ma certamente drammatici, nasce dall'esclusiva volontà statunitense di alzare oltre ogni limite la tensione nell'area per i suoi esclusivi interessi commerciali e geopolitici.

Una crisi pianificata a tavolino in tutti i suoi passaggi, dalla diffusione di una informazione completamente falsa - quella per la quale la Russia starebbe per invadere l'Ucraina - fino alla minaccia di sanzioni e di sostegno militare a Kiev da parte della NATO nel caso ciò avvenisse.

Ma chiusi i telefoni e al netto della propaganda mediatica occidentale, si vede come l'escalation di questa crisi opacizzi in parte le sue vere ragioni e le gravi responsabilità. L'intento statunitense è quello di aprire un nuovo fronte, ancor più aggressivo, della sua guerra non dichiarata contro il governo di Mosca. L'innesco e l'approfondimento di questa crisi obbedisce infatti ad un disegno commerciale e strategico che viene perseguito con il maggior cinismo possibile sulla pelle degli ucraini e dell'intera Europa.

Cosa cerca Washimgton?

Tre gli obiettivi principali di questa campagna : il primo è coprire con una pesante campagna mediatica la verità di quanto avviene ai confini tra Ucraina e Russia, ovvero l'annessione de facto di Kiev alla NATO, supportata da insediamenti militari e armamenti missilistici made in USA. L'intenzione spudorata è di rifornire di armamenti l'Ucraina fino a fargli riempire i suoi arsenali, procurandosi così, nello stesso tempo, due indiscutibili vantaggi: piazzare miliardi di dollari di armamenti made in USA e rendere l'Ucraina una versione slava di Puerto Rico, ovvero un protettorato da utilizzare come territorio per esperimenti di guerra.

Un nuovo teatro di guerra tra quelli preferiti per gli affari del complesso militar-industriale, perché situato lontano dagli USA e perché realizzato da terzi per procura statunitense. Lauti affari e poche perdite, insomma. Come sempre, dietro ogni narrazione di "libertà", ci sono i dollari che Washington incassa. Non si vendono armi per fronteggiare una crisi, si crea la crisi per vendere armi.

Un altro obiettivo è sedimentare, con la scusa della minaccia russa a Kiev, l'allargamento ad Est della NATO, che si dà in violazione degli accordi tra Bush e Gorbaciov che impegnavano gli USA a non allargare la NATO ad Est e ad arrivare a minacciare Mosca. L'Ucraina doveva rimanere una "zona-cuscinetto" che separasse i rispettivi eserciti e lo stesso era previsto per altri paesi come Romania e Polonia. Tutti impegni disattesi da Washington: non solo la NATO si è allargata a dismisura ad Est ma è arrivata a predisporre installazioni in territorio ucraino nelle prossimità del confine con la Russia.

La disposizione militare della NATO ad Est è già di per se stessa una grave minaccia verso la Russia ma le nuove installazioni militari prevedono il posizionamento di rampe di lancio per missili balistici che impiegherebbero 5 minuti per arrivare a colpire la Russia. Una provocazione sfacciata ed una minaccia diretta verso Mosca che non si poteva ipotizzare restasse senza risposta: immaginare che la Russia possa ignorare una minaccia ai suoi confini significa essere completamente al di fuori della realtà.

A questo proposito Putin ha già avvertito Biden e il mondo intero circa l'impossibilità di superare quella che chiama "la linea rossa". Schiera quindi soldati ed armamenti convenzionali e nucleari in grado di respingere qualunque attacco al territorio russo e capaci di garantire una controffensiva militare che renderebbe altissimo il costo da pagare per Kiev e i suoi alleati. Non vi sono linguaggi diversi che gli USA possano comprendere e non vi sono avvertimenti migliori per chi, seguendoli nell'avventurismo criminale che ne contraddistingue la politica estera, rischia la distruzione totale della sua identità politico-territoriale. Lo ha già dimostrato in Cecenia, in Georgia, in Crimea, in Siria: Mosca è assolutamente in grado di intervenire contro qualunque tipo di minaccia esterna e interna, agendo come molti altri Paesi agirebbero a tutela della propria integrità territoriale e anche dei propri interessi strategici. D'altro canto il ritiro statunitense da ogni tipo di trattato bilaterale sul controllo degli armamenti e sull'installazione di testate nucleari, il non riconoscimento degli accordi prima firmati con l'Iran, le minacce (costanti quanto sterili) a Cina e Corea del Nord e le aggressioni politiche e commerciali alla Russia vengono prese sul serio a Mosca come a Pechino.

Mosca da tempo avverte circa l'impraticabilità delle operazioni militari NATO che, di anno in anno, tendono a spostarsi verso i confini russi, prefigurando una minaccia aperta verso la Russia. Il Cremlino ha una idea precisa circa la distanza di sicurezza minima che andrebbe osservata tra le sue frontiere e i paesi ostili, come del resto anche gli USA la hanno per quanto riguarda le loro frontiere.

I precedenti storici non mancano, si veda la crisi dei missili a Cuba del 1962. Gli USA ritengono che nessun paese in prossimità della sua sfera geografica possa essere dotato di basi militari ed armamenti balistici, a maggior ragione se si tratta di paesi che reputa ostili. Non si vede allora perché Mosca dovrebbe invece consentirlo. O si ritiene che vi siano due copie diverse del Diritto Internazionale, una scritta in inglese e l'altra in russo?

Il gasdotto North Stream 2

Il secondo obiettivo della crisi - ma non meno importante del primo - è alzare il livello dello scontro con Mosca in modo da dissuadere Berlino dalla messa in opera del gasdotto russo-tedesco che passa sotto il Mar Baltico e che metterebbe fine alla tangente che Kiev pone all'intera Europa per il passaggio del gas sul suo territorio. Washington vuole agire sull'autorità tedesca delle reti energetiche, che ha bloccato la procedura di autorizzazione per motivi formali, legati al mancato rispetto del Diritto Comunitario che prevede la separazione tra proprietà, gestione e distribuzione.

L'intenzione statunitense è fin troppo evidente: in caso di conflitto la Germania si tirerebbe indietro, certo; ma anche solo un aumento della tensione e ulteriori sanzioni potrebbero aumentare ulteriormente la pressione su Mosca e spingerla ad alzare il prezzo delle forniture, così da rendere accettabile o concorrenziale il costo del gas statunitense.

Niente di nuovo: tutte le sanzioni statunitensi alle quali si allinea l'Unione Europea malata di servilismo autolesionista, soprattutto quelle contro la Russia e la Cina, hanno un duplice obiettivo: mettere in difficoltà le economie concorrenziali a quella statunitense e fornirle un vantaggio commerciale alle imprese USA che altrimenti dovrebbero misurarsi alla pari e perderebbero.

Le nuove minacce statunitensi di espulsione dai circuiti finanziari internazionali di Mosca sono irrealizzabili, tale è l'interconnessione dell'intera comuità internazionale e degli stessi Stati Uniti con la Russia (un mese fa gli USA hanno dovuto acquistare alcuni milioni di barili di diesel russo) e con la Cina. Peraltro, ciò accelererebbe ulteriormente la messa a regime della Banca Internazionale che Russia e Cina, insieme a diversi altri Paesi, hanno già messo all'opera e che è destinata a rappresentare una alternativa secca al Fondo Monetario Internazionale ed alla Banca Mondiale.

Sono invece tutte da provare le contro-sanzioni che Mosca e Pechino hanno allo studio. Un esempio lo ha fornito la Cina, che ha colpito duramente l'Australia, con gli Usa che si sono detti "sconcertati". Camberra adesso ci penserà due volte prima di lanciare moniti e minacce ridicole solo per servitù verso gli USA.

Meglio che l'Occidente abbandoni la guerra che ha aperto contro Russia, Cina, India, Iran ed altri per il dominio assoluto del pianeta da parte di una superpotenza che ogni giorno perde guerre, mercati e leadership. Pensare che il mondo resti a guardare mentre un impero in decadenza se ne ciba è un errore; ritenere che lo facciano Pechino o Mosca può assumere le dimensioni di un errore catastrofico.

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